Branco o Famiglia mista? (Parte 1)

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di Riccardo Totino

Ho sostenuto per molti anni l’ipotesi del “branco misto” e la teoria sulla gerarchia di dominanza, ma nel tempo ho messo a punto un approccio completamento diverso. Ho iniziato a mettere sullo stesso piano le numerosissime e diversissime esigenze dei proprietari con quelle dei cani e ne è venuto fuori un “modo di lavorare” degno di essere considerato interessante. Una visione un po’ fuori dalle righe del rapporto uomo-cane.

L’obiettivo è una guida fruibile per colleghi e proprietari, basata su un’idea relativa all’educazione del cane nel contesto urbano che tenga presente contemporaneamente i bisogni del proprietario e quelli del cane:

Athletic Baal corniceil risultato di vent’anni di lavoro improntato sul rapporto tra le due specie e non sulle performance del cane (competitivo, prestante, robotizzato ecc.). Per me il cane deve potersi comportare liberamente e nel rispetto delle regole che la società ci suggerisce. Vivo a Roma, le regole in questa città sono molto flessibili e dunque, la nostra vita da cinofili è decisamente facilitata.

La definizione branco misto è ormai di uso comune per indicare un nucleo di umani in cui sono presenti uno o più cani. Ma questa definizione è sempre corretta? Ormai ho imparato che l’utilizzo di un termine piuttosto che un altro induce l’interlocutore a identificare una parola in un contesto ben preciso. Quando parliamo di “branco misto” nella mia mente prende forma l’immagine del branco (in questo caso di cani), con le tipiche regole canine, in cui regna sovrana la gerarchia di dominanza. Quanto questa immagine è lontana dalla realtà?

Dalla mia tantissimo.

Io e miei cani viviamo in un contesto sociale ad altissima urbanizzazione (Roma è veramente una grande città) e seguiamo regole sociali molto distanti da quelle canine.

Troppe volte ho dovuto bloccare Baal nel tentativo di corrompere una femmina a lasciarsi andare ad atteggiamenti più lussuriosi! E nel suo sguardo interrogativo mi sembrava di leggere questa frase : «Ma scusa, di che ti impicci tu?»

«Cosa c’è che non va nel provarci?» «È il motivo per cui siamo qui!»

Come biasimarlo? Per questo continuo a chiedermi come sia possibile pensare che i miei cani possano capire concetti del tipo:

  • il cane è una specie in esubero,

  • i canili sono pieni di cani che nessuno vuole,

  • non possiamo far nascere altri cuccioli, vaccinarli, accudirli, curarli per poi sbatterli in galera a vita.

Noi sappiamo che presto raggiungeremo un livello di criticità dal quale sarà impossibile uscire se non attraverso una soluzione drastica, ma come spiegarglielo? Così come non potrei spiegargli il mio disagio ogni volta che vado in canile cercando di offrire (sempre con il suo aiuto) il mio contributo per rendere adottabili gli altri che nessuno vuole.

Quindi il concetto “lui non si accoppia io mi sento meglio” Baal non riesce proprio a farlo suo.

Eppure, nonostante il punto di domanda stampato sul muso, si fida di me e mi segue anche quando gli chiedo di comportarsi contro natura.

Per queste e molte altre ragioni ritengo che quello in cui sono inserito non sia un branco misto ma una famiglia, una famiglia eterospecifica (di specie diverse), ricca di regole sociali umane, inserita in un contesto umano ed è a questa che i cani devono adattarsi. Non perché sia io a desiderarlo ma perché questa società è molto più grande di me e delle mie idee.

Questa lunga premessa… per introdurre l’importanza che potrebbe avere lo studio dei meccanismi familiari applicati alla relazione con il cane. Fatta eccezione per quei casi in cui nel gruppo sono presenti più cani che persone, entrare nell’ordine di idee che è il cane ad essere inserito in una famiglia e non l’umano in un branco, cambia radicalmente il modo di operare del professionista.

La Struttura Famigliare

Nell’ambito della psicologia umana c’è stato un grande interesse nello studio dei meccanismi che regolano i rapporti all’interno della famiglia. Nelle società occidentali e in particolare nell’ambito cittadino, le famiglie moderne sono definite “nucleari” cioè un nucleo che origina col matrimonio e finisce con la morte dei due individui che gli hanno dato vita. Questo periodo è stato definito Ciclo Vitale e suddiviso in quattro fasi.

4-autoscatto-selfie-cane-famiglia-divanoLe fasi

Convenzionalmente il ciclo vitale di una famiglia è diviso in quattro fasi:

  • la prima fase del ciclo va dal matrimonio alla nascita del primo figlio, e in questa fase la famiglia è costituita solo dalla coppia.

  • La seconda fase, dell’allevamento e dell’educazione, va dalla nascita del primo a quella dell’ultimo figlio ed è caratterizzata dall’espansione numerica.

  • La terza fase, in cui i figli a poco a poco lasciano la casa, vede una contrazione delle dimensioni della famiglia.

  • La quarta e ultima fase, detta del “nido vuoto”, è quella in cui la famiglia si riduce di nuovo alla coppia di origine. Questa fase ha termine con l’estinzione della famiglia, che ha luogo con la morte di entrambi i coniugi.

L’adozione di un cane da parte di questo tipo di famiglia viene vissuto in modo completamente diverso in funzione della fase in cui questo processo avviene.

Considerando che nella prima fase una famiglia progetterà il suo futuro libera da legami affettivi genitoriali, le alterazioni causate dalla presenza di un cane dovrebbero essere oggetto di studio. Potrebbero trascorrere diversi anni prima della nascita del primo figlio e, in questo caso, i proprietari potrebbero comportarsi nei confronti del cane nello stesso modo in cui si comporterebbero con un figlio biologico ma, al momento del grande avvento, potrebbero trasferire tutto il senso di protezione dal cane al bambino, relegando l’animale e privandolo delle attenzioni a cui era abituato. Un comportamento di questo tipo potrebbe scatenare nel cane una reazione di “gelosia” con conseguenze anche gravi per il bambino. Se invece le famiglie originano con uno o più animali, cioè la coppia possiede già uno o più cani prima della convivenza, questi meccanismi saranno diversi e andrebbero analizzati caso per caso a partire dalla differenza di relazione tra il cane e i suoi proprietari, ad esempio se l’animale che va a convivere con la giovane coppia è di lui o di lei.

Inoltre non è da trascurare l’effetto che gli ormoni hanno sugli organismi. Ad esempio il desiderio di prendersi cura di un “piccolo” è stimolato dall’ossitocina -l’ormone materno- definito anche l’ormone dell’amore. In particolare durante il parto la produzione di questo ormone è responsabile dell’attaccamento tra madre e figlio e viceversa. Questo, come tutti i processi interni che regolano la produzione degli ormoni, avviene in misura diversa a seconda dell’età e delle condizioni ambientali in cui un individuo si trova. L’impulso di prendersi cura di qualcuno (impulso epimeletico) non è né una scelta, né un meccanismo mentale e razionale, ma deriva da un bisogno stimolato dagli ormoni. In questo, come in altri casi, il compito della mente è di esercitare un controllo sul comportamento stimolato dalla spinta ormonale e non sempre viene svolto con successo. Quando questo impulso è molto forte e se proiettato su un animale si potrebbero raggiungere degli eccessi di “protezione” non controllati adeguatamente (es. l’irresistibile desiderio di offrire cibo a un cane che fa la questua).

L’adozione nella seconda fase del ciclo vitale ha un effetto diverso: inserire un cane in una famiglia con bambini implica meccanismi diversi dai precedenti. Come accennato in precedenza l’istinto di protezione dei figli sovrasta qualsiasi comportamento e la scelta di adottare un cane in questa fase è motivata dal procurare una compagnia, un diversivo o un impegno proprio per i figli. I cani adottati durante questa fase svolgono un compito più indirizzato verso i figli che non verso i genitori.

In uno stato più avanzato di questa fase saranno i figli a introdurre il cane in famiglia, in questo caso la scelta non sarà dei genitori ma, probabilmente, saranno loro a farsi carico del nuovo impegno e a volte assolutamente contro la loro volontà.

Anche durante la terza fase possono instaurarsi diverse condizioni: i figli abbandonano il “nido” lasciando il cane ai genitori, oppure portandolo con loro. Nel secondo caso l’effetto “nido vuoto” sarà ancora più drammatico e gli anziani genitori potrebbero adottare un nuovo cane trasformandolo in una sorta di risarcimento affettivo totale, con conseguenze devastanti per il cane. Molto spesso, sia in questa sia nella quarta fase, le persone anziane non vogliono rendersi conto della difficoltà che implica l’adozione di un cucciolo. Un giovane cane ha esigenze molto impegnative per una persona anziana e un educatore non può fornire al cliente quel vigore necessario a soddisfare tutte le esigenze del cucciolo. Riuscire a convincere una persona anziana ad adottare un cane adulto significa avere alte probabilità di far funzionare il rapporto. L’adulto, infatti, ha il carattere ben formato e non sarà difficile sceglierne uno adatto alle esigenze del richiedente.

La quarta fase è un periodo abbastanza lungo, prevede anche una fase di vedovanza e l’adozione potrebbe portare grandi benefici affettivi ai genitori che avrebbero qualcuno di cui occuparsi e prendersi cura.

Considerando che l’adozione di un cane è legata alla soddisfazione di un proprio bisogno –anche il desiderio di salvarne uno soddisfa un bisogno-  è importante comprendere che, in una persona, questi saranno differenti a seconda della fase del ciclo vitale della famiglia e saranno da aggiungere a tutti gli altri bisogni che un individuo ha in funzione del suo background.

Famiglie unipersonali

Tequila Elisa 004L’aggettivo unipersonale attribuito a una famiglia è un ossimoro eppure nei censimenti, per convenzione, i single vengono definiti con questo termine. Anche le famiglie unipersonali hanno un ciclo vitale, ma la storia pregressa del single ha un’importanza maggiore rispetto a quelle nucleari che rispettano dei tempi standardizzabili. Quindi in questo tipo di famiglia gli elementi saranno considerati in funzione della fascia di età in cui questa si è costituita:

  • 18/29 anni si distacca dalla famiglia per scelta e inizia a vivere da solo. In questo caso il cane rappresenta un compagno di avventura (l’inizio della propria vita)

  • 18/29 anni che si stacca dalla famiglia per obbligo (es. scomparsa dei genitori). Anche in questo caso sarà probabilmente un compagno di avventura, ma l’assenza della “sicurezza genitoriale” renderà questo rapporto diverso dal caso precedente.

  • 30/40 anni donna, primo distacco dalla famiglia o divorziato.

  • 30/40 anni uomo, primo distacco dalla famiglia o divorziato

e così via.

Di fatto non potrei proporre a un ragazzo che vive da solo le stesse soluzioni che proporrei a un uomo di cinquanta anni rimasto solo dopo la morte della madre e con la quale ha convissuto per tutta la vita.

Le motivazioni o i bisogni affettivi che spingono le persone a adottare un cane sono diverse e ritengo che sia necessario tenerne conto quando viene richiesto il nostro aiuto. In alcuni casi, con il cambiare di queste condizioni, un’adozione fatta precedentemente in situazioni ottimali potrebbe trasformarsi in un peso.

Ognuna di queste ipotesi deve essere affrontata nella sua complessità, in ciascun caso che viene seguito sono presenti molteplici sfaccettature costituite dai “bisogni” da soddisfare tanto nel cane quanto nel proprietario. Limitare l’azione del professionista all’insegnamento di esercizi -più o meno complessi- non risolve il problema che ne sta all’origine.

 

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