03 Feb

Collare e dintorni (Intervista a Walter)

di Riccardo Totino

Mi chiedo continuamente cosa c’è che non mi torna nella guerra collare Vs pettorina. Di risposte ne ho già tante ma in realtà, se ci penso bene, la risposta è che tutti hanno ragione. I collari hanno dei vantaggi, le pettorine ne hanno altri.  E una discriminante netta, se fosse in grado di darla, ce la potrebbe dare solo il singolo cane. Così ho immaginato una ricerca su un campione di 50 cani tra meticci e razze più comuni in cui abbiamo posto due domande. I cani hanno risposto nel seguente modo:

  1. Preferisci girare col collare o con la pettorina?

l’ 80% ha risposto che preferirebbe girare libero, ma quando gli abbiamo spiegato che è vietato e dovevano scegliere tra queste due soluzioni si è delineato quest’altro risultato,

  • 30,1% il collare
  • 29,9% la pettorina
  • 25,8% indifferente
  • 14,2% ha risposto non capisco la domanda(*)

(*)Da un’indagine più accurata si è evidenziato che questi cani non conoscevano una delle due alternative

  1. Cosa ti dà più fastidio degli umani quando esci con loro al guinzaglio?
  • 48,9% parlano al cellulare, inviano continuamente messaggi o giocano a Candy Crash (questo li infastidisce anche quando sono liberi al parco)
  • 25,2% essere strattonato continuamente e senza senso
  • 16,3% sentirmi dire continuamente No! (anche perché ogni tanto sento il bisogno di fare qualcosa da cane, naturale)
  • 15,1% che sono lenti e non sostengono la mia andatura
  • 10,1 % uscire per fare il giro del palazzo senza potermi fermare ad annusare niente(**)
  • 0,9% non capiscono l’importanza di risolvere una questione aperta che ho in ballo con il mio nemico giurato

(**)Ci sono persone che non fanno differenza tra un cane e un trolleyDSC_0090

Finito il questionario mi sono fermato a parlare con Walter, un meticcio adulto di otto anni che è stato adottato quattro volte e abbandonato tre. Circa trenta chili,
muscoloso, marrone tigrato, pelo liscio, aspetto complessivo che ricorda vagamente un boxer. Vista la sua variegata esperienza mi sembrava quello con le idee più chiare e così abbiamo iniziato a chiacchierare.

«So che il questionario rispettava le regole della privacy e che le risposte sono segrete, ma ti va di dirmi cosa hai risposto al quesito collare Vs pettorina?»

«Il problema della privacy, e qui già potremmo fare una lunga digressione, è senz’altro più un problema vostro, noi cani abbiamo problemi più seri, immediati. Comunque io parlo per me e ti rispondo volentieri. Sono in quel 25,8% degli indifferenti!» e continua «Ho indossato un po’ di tutto dai collari a catena, fissi, strangolo (o a scorrimento se ti fa sentire meglio), semistrangolo, adesso quando usciamo mi mettono la pettorina rigorosamente ad H. In canile invece usavano le corde un po’ puzzolenti, sai come quelle che in esposizione chiamano guinzagli retriver?» Scodinzola ironico e prosegue «In canile dove siamo più poveri le chiamano semplicemente corde, ma sono la stessa cosa solo che una è colorata e l’altra puzza!»

«Ma perché per te è indifferente, la pettorina non è più comoda?»

«Dipende, se il mio compito è quello di trainare l’umano al guinzaglio… sì è decisamente più comoda, ma in realtà avendo finalmente capito che non è quello che mediamente desiderano quando passeggiamo insieme allora non fa differenza, forse il collare è più leggero e meno invasivo, ma sono dettagli!»

«Che cosa vorresti dire agli umani che adottano un cane?»

«Ci sarebbe da dirgli troppe cose…»

«E se ti chiedessi di fare qualche esempio?»

«Solo qualche esempio? Posso fare di più, ti butto giù una lista ma sappi che è incompleta!»

Walter si piega su se stesso, con i denti si gratta un po’ la coda, si lascia andare e scivola sdraiato sul pavimento, mi guarda e inizia il suo lungo elenco:

«che abbiamo un cervello in grado di imparare oltre quello che gli umani credono,

che non ci possibile imparare cosa è sbagliato se non ci insegnano cosa è giusto,

che preferiamo imparare a scegliere piuttosto che a essere condizionati,

che se ci adottano non lo devono fare per soddisfare solo i loro bisogni, ma anche i nostri,

che le aspettative iniziali devono evolvere e cambiare mano a mano che viviamo insieme,

che “nostro malgrado” siamo stati selezionati in modo da attivarci per comportamenti specifici e quindi, come disse Darwin, “mi fa specie” che un umano si sorprenda se un pastore tedesco abbia voglia di mordere un estraneo che entra in casa (non è facile per un cane distinguere un soggetto pericoloso da un amico di famiglia o dal tecnico della lavatrice),

che se ci fanno dormire abitualmente sul divano noi potremmo reagire come se stessero violando la nostra tana. Questa cosa la capiscono facilmente se si tratta della nostra brandina, ma non capiscono che se la nostra cuccia è il divano lo difenderemo come la brandina di cui sopra»

A questo punto la nostra conversazione si era fatta intensa. E raggiunta una certa intimità mi è venuto spontaneo chiedergli:

«Che cosa ti spaventa degli umani, voglio dire più di tutto?»

Sul momento Walter ha alzato le orecchie, la fronte si è corrugata, la coda rigida e dopo pochi secondi, gli occhi sono diventati grandi, le orecchie sono andate indietro tutta, la fronte è diventata subito liscia, la coda è scesa e muoveva soltanto la punta. Mi ha guardato e ha iniziato a parlare

«Ci sono umani e umani!»

E dopo una breve pausa ha continuato

«Io ne ho conosciuti diversi e da molti non sono stato capito. Quando ero giovane sapevo cosa volevo, dentro di me c’erano delle spinte forti, quelle che voi chiamate tempeste ormonali, e cercavo in tutti i modi di trovare una compagna!»

Io guardavo Walter con grande interesse e non avevo voglia di interromperlo così lui ha proseguito

«Sai allora pensavo che per conquistare una femmina avrei dovuto essere il numero 1 e quindi cercavo lo scontro con tutti gli altri maschi che incontravo. Ecco! questo è sempre stato un problema con gli umani: per me comportarmi in questo modo era normale, mi sentivo figo e non vedevo controindicazioni… Per loro questo mio comportamento era inaccettabile. Uno di quelli che gli faceva dire sempre NO!»

Mentre parlava i suoi occhi si erano velati di tristezza e il suo sguardo mi attraversava fino al nulla, come se la sua mente fosse tornata a tanto tempo fa. Un lungo sospiro e aggiunse

«Forse è stato proprio per questo che la mia prima famiglia mi ha lasciato in un canile, ma portarmi lì ha risolto solo in parte. In canile passavo tanto tempo solo. Di femmine con cui mostrarmi il numero 1 ne ho viste veramente poche. Di contro ho conosciuto tanti umani, per lo più umani di sesso femminile, che si fermavano nella mia cella, mi portavano da mangiare e ogni tanto a fare un giro. Erano molto gentili con me, ma con regole molto decise, regole che però erano abbastanza comprensibili e a cui non è stato difficile adattarsi. Certo non era il massimo vivere lì, però quello è stato per me un momento di crescita importante. In fondo sono diventato grande proprio in canile»

Una breve pausa in cui non ho avuto il coraggio di intromettermi e Walter riprende il suo racconto

«Le esperienze successive sono state abbastanza catastrofiche» scodinzola nervoso «nuove incomprensioni mi hanno costretto a mordere tutti quelli che hanno tentato di adottarmi…fino a tre anni fa, incredibili tre anni fa, quando la mia vita si è incrociata con quella di Francesca e di Marina. Vivono insieme, Marina è un’educatrice cinofila, e quando i nostri occhi sono inciampati gli uni dentro gli altri, allora ho capito che questa volta ce l’avrei potuta fare!» … «Da quando vivo con loro va tutto bene, con la pazienza necessaria mi hanno spiegato come sarebbe stato meglio comportarmi, correggendo sì i miei errori ma suggerendomi altri comportamenti, modi a cui io da solo non sarei mai potuto arrivare neanche riflettendoci!»

Walter accennò una leccatina, quella che gli umani dicono facciano i cani per pacificare. Era un po’ a disagio, si vedeva, ma per me era importante riproporgli il mio quesito

«D’accordo Walter, tutto emotivamente forte e bellissimo allo stesso tempo, ma non hai risposto alla domanda… Degli umani che cosa ti spaventa più di tutto?»

E lui

«Hai ragione, ma non è facile rispondere. Credo che per te sarebbe difficile rispondere se ti chiedessero cosa ti spaventa del cane. Giusto?»

Io ho annuito mentre Walter continuava

«La rabbia! La cosa che mi spaventa di più è un umano arrabbiato!»

Non capendo bene gli chiesi di chiarire

«Hai paura di essere picchiato, hai paura del dolore?»

Walter mi guardò un attimo con aria interrogativa e rispose

«No, non è il dolore che temo, se giochi a volte ti fai male, ma ti diverti lo stesso. La rabbia è quel momento in cui, senza una ragione apparente, un umano all’improvviso ti urla in faccia, ti solleva, ti sbatte la faccia su qualche cosa, ti butta per terra, ti minaccia e tu non capisci il perché di questo comportamento carico e violento!»… «Voi la chiamate aggressività idiopatica, vero?»

Annuisco tristemente. Rifletto un attimo e cerco di immedesimarmi in una persona che si comporta così col proprio cane. Ho una certa età e quando ero piccolo mi è stato insegnato che i cani imparano se vengono pesantemente puniti quando “sbagliano”. Ora che son grande ho messo in discussione quel principio e sono sempre più convinto che non basterà tutta la vita che ho vissuto, né tutta quella che ho ancora davanti, per osservare, studiare e capire questo meraviglioso animale fino a comprenderlo veramente. Ogni cane è diverso da ogni altro e ognuno ha un suo modo di stare al mondo e di comunicare. In più un cane può essere intelligente o “stupido”, allegro o serio, spumeggiante o depresso, sicuro o ansioso…Quindi come è possibile disporre di un solo modo per educarlo? Il mio pensiero scorre indietro per 5 decadi, un piccolo brivido mi assale e mi rivedo a dodici anni: duro, militare, impassibile, determinato nell’urlare in faccia a Peggy, (il mio primo cane), nel sollevarla per la collottola, sbatterla per terra e sottometterla. Ogni giorno scappava e tutte le volte la punivo. Ogni volta era sempre più difficile riprenderla e le sue fughe erano sempre più lunghe. Eppure io facevo quello che mi avevano insegnato essere giusto, perché il mio cane non imparava?

Adesso sono io molto a disagio. Io mi lecco le labbra, io con aria di scusa guardo Walter e dico

«Sai, credo che se un cane facesse a noi umani un decimo di quello che hai subìto tu, beh il cane finirebbe molto male, mentre noi nel farlo siamo anche convinti di essere nel giusto. La stessa cosa, calcolata però in maniera completamente differente. Tutto questo ha lo stesso sapore dell’ingiustizia!»

Walter si siede, si gratta un orecchio, si alza, sgrulla la testa. Mi guarda negli occhi come se avesse compreso le mie difficoltà, abbassa le zampe anteriori, fa scivolare il muso per terra sul lato destro, in un secondo tutti i suoi trenta chili lo seguono e lui è lì a pancia all’aria che si dimena come un serpente. Scoppio a ridere e subito mi sento sollevato, un cane sa essere buffo al momento giusto. Gli gratto un po’ la pancia e mentre carezzo la sua testa, una voce fuori dalla stanza chiama Walter. È Francesca. Si affaccia e mi dice che per loro si è fatto tardi, le dispiace ma devono andar via. Walter si alza, lei sorride, lui le va incontro scodinzolando e felice. Mi avvicino anch’io, carezzo Walter sulla testa mentre lui la spinge contro la mia mano. So che non ha rancore, i cani non ne hanno mai. Ringrazio Marina e Francesca e chiedo loro se potrò rivederlo ancora

«Perché no?» mi risponde Marina e con un pizzico di ironia aggiunge «A tartufo gli stai simpatico!».

Colgo la battuta e sorrido felice.

Saluto tutti e torno verso la mia macchina. Anche oggi sarò più ricco. Mi succede sempre dopo aver parlato con un cane.

Pettorina/collare. Quanta energia sprecata in questi scontri. I professionisti dovrebbero incontrarsi, parlare e crescere insieme. L’apertura mentale porta il nuovo e annulla le distanze, la chiusura mentale è come una palla che rimbalza sempre nello stesso punto fino a quando si consuma, si buca e smette di rimbalzare. Poi non rimane niente. Ma non sono gli strumenti che costruiscono o distruggono un rapporto è la presenza o meno della volontà di capire l’altro.

Ma questa è la natura umana.