16 Set

Aspettative e Schemi

di Riccardo Totino

Negli ultimi anni mi accorgo sempre di più che si sta scatenando una vera e propria guerra psicologica nei confronti dei proprietari dei cani. La frase: «non esistono cani cattivi, esistono solo cattivi proprietari» è ormai diventata un luogo comune e cioè  è largamente diffusa ma non è necessariamente vera. Esistono cani difficili, proprietari difficili, educatori difficili. Spesso vengono da me persone già “bastonate” da altri colleghi che sostenevano la loro incapacità di gestire il proprio cane. Ma come si può pensare di rendere una persona autorevole se viene regolarmente umiliata da colui a cui si è rivolta per chiedere aiuto?

Gli umani, come i cani, sono dei mammiferi soggetti a tutta una serie di meccanismi interni (geni, ormoni) ed emozioni che ne condizionano il comportamento. Le conoscenze cinologiche di cui dispone un proprietario di cani sono giustamente molto ridotte, così come lo possono essere le nostre riguardo ad esempio l’informatica o sul funzionamento di un’automobile. Tutta una serie di conoscenze  che inducono noi educatori a considerare ovvi tutta una serie di comportamenti adatti per il giusto equilibrio del cane, non sono affatto così scontate. Informarsi attraverso internet è a rischio perché se da un lato sapendo cercare si trovano milioni di pubblicazioni interessanti, dall’altro chiunque può pubblicare qualsiasi cosa in rete, riempiendola di fatto di tutto e il contrario di tutto. Per informarsi con coscienza attraverso la rete bisogna disporre di conoscenze pregresse e non tutti i proprietari ne hanno.

Una relazione si fonda principalmente sulle emozioni, sull’empatia e sul coinvolgimento emotivo. Non di meno è importante la struttura famigliare definita da Salvador Minuchin come quell’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono. In questo complesso meccanismo le aspettative giocano un ruolo importantissimo.

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Aspettativa.

Nel momento in cui una persona decide di “adottare” un cane nella sua mente si costruiscono delle aspettative. Un addestratore che gareggia in agility probabilmente acquisterà un border collie o un australian, un altro che ama il mondioring si procurerà un malinois, una persona anziana responsabile che vuole un cane da compagnia e poco impegnativo potrà condividere la sua vita con un barboncino, un maltese o un lhasa apso (ahimè i soli cani di cui potrò godere fra qualche anno). Fintanto che il soggetto rispetterà le caratteristiche di razza non ci saranno problemi, ma se il border si rivelerà un pigrone o il malin intimorito dalle novità o dagli spari al punto da non poter essere portato in gara, il suo “conduttore-proprietario” potrebbe trovare una nuova sistemazione al cane e sostituirlo con uno più “adatto” al suo scopo. Così come  se il barboncino fosse troppo aggressivo verso umani o consimili, al punto da rendersi ingestibile in passeggiata o in casa, il suo anziano “padrone” potrebbe decidere di disfarsene.

Non stiamo parlando di problemi comportamentali ma di comportamenti sani (l’aggressività è una risorsa non un problema) vissuti come problematici dai loro proprietari.

L’aspettativa è un processo mentale che consente, all’individuo in grado di crearla, di pre-supporre cosa sta per accadere. È uno dei concetti principali nella teoria del comportamento intenzionale di E. C. Tolman (Il comportamento intenzionale negli animali e negli uomini, 1932), talvolta detta anche “teoria dell’aspettativa”: ciò che viene appreso è una disposizione a reagire a determinati oggetti considerati come “segni” di altri oggetti futuri. Tolman definisce l’aspettativa un processo cognitivo, i cui tre stati fondamentali sono la percezione, la memorizzazione e l’inferenza(1).

Il concetto di aspettativa è centrale anche nelle teorie di A. Bandura e G. A. Kelly nelle quali si mette in evidenza il ruolo che, nella programmazione del comportamento, hanno le aspettative e le previsioni delle persone rispetto agli eventi e al comportamento altrui. Un’aspettativa quindi programma e regola il comportamento.

Le aspettative si costruiscono con l’apprendimento. Maggiore è la conoscenza più alto è il numero e la complessità delle aspettative. Noi umani le formiamo mettendo in relazione la conseguenza che segue un evento, ma soprattutto le costruiamo rispetto all’idealizzazione dei meccanismi sociali che riteniamo corretti e il cane ideale si deve comportare seguendo le “regole della società” e non le “regole sociali” specie specifiche.

Viviamo in una società molto eterogenea e di conseguenza ognuno di noi ha delle convinzioni diverse da quelle di un altro. Ad esempio io ritengo che quella dell’educatore cinofilo sia una professione d’aiuto, cioè una persona viene da me con una richiesta specifica rispetto alla quale il mio intervento si articolerà in diversi modi:

  • aiutarlo a risolvere i conflitti che si sono generati nella relazione con il suo cane
  • aiutarlo a costruire una relazione senza conflitti
  • aiutarlo a realizzare l’idea che ha della convivenza con l’animale
  • aiutarlo a rendere felice il suo cane

Queste differenti richieste sono sempre relative alle esigenze che ha la persona e non il cane, anche quando è il proprietario a ritenere che il suo cane non sia sereno o felice. Ricordiamoci che la lettura è sempre umana.

Altre figure tecniche intervengono addestrando il cane sul campo, insegnandogli degli esercizi di diverse complessità, avendo l’obbedienza come obiettivo principale. Il concetto base è il seguente: se un cane obbedisce sempre e in qualsiasi circostanza ai comandi, non creerà mai nessun problema perché la persona ha il completo controllo sul comportamento dell’animale.

A seconda della tipologia del cliente e in funzione delle sue aspettative una figura può avere più successo dell’altra, ciononostante integrando le due “visioni” si potrebbero ottenere dei risultati eccezionali.

L’aspettativa è dunque un processo mentale ed è presente sia negli esseri umani sia nei cani, ma la sua programmazione è nettamente diversa tra le due specie: un umano può progettarla anche a distanza di anni, mentre (per quanto ci è noto) un cane può farlo a scadenze decisamente più brevi. Un rieducatore dovrebbe prendere in considerazione le aspettative di entrambi indipendentemente dall’aspetto etico, agire senza giudicare né il proprietario né il cane e cercare di trovare la strada per soddisfarle operando dei cambiamenti nelle menti dei suoi clienti. Adottando un cane, una persona costruisce nella sua mente un futuro immaginario dato dalle conoscenze di cui dispone: chi ha già avuto molti cani avrà delle aspettative più realistiche di chi si addentra per la prima volta in questa esperienza. Per un professionista sarà senza dubbio più semplice soddisfare le aspettative del cane rispetto a quelle del proprietario (compito che spetterebbe più a uno psicologo) ma a mio avviso capire l’animale non è sufficiente a risolvere un problema. È il proprietario che lancia la richiesta d’aiuto, è lui che ci contatta nella speranza di risolvere un problema che vive in modo più o meno grave.

Addestramento e Premio Laura (11)   Addestramento e Premio Laura (13)Addestramento e Premio Laura (12)

Schema.

Uno schema è rappresentato dall’apprendimento di un prevedibile susseguirsi di eventi.

Prendiamo ad esempio una banalità quotidiana: ho sete, vado in cucina, apro il rubinetto, prendo un bicchiere, lo riempio d’acqua, bevo, sciacquo il bicchiere e lo ripongo nello scolapiatti. In uno schema l’aspettativa si crea “immaginando” come se fosse una “certezza” che il succedersi di uno o più eventi segua un percorso preordinato. Nel momento in cui ho sete, nella mia mente prende forma lo schema che dovrò seguire, se solo uno dei fattori elencati non risponderà ai requisiti (es. aprendo il rubinetto l’acqua non esce, non ci sono più i bicchieri, la cucina è chiusa a chiave) avrò un problema e cioè mi renderò conto che quella che consideravo una certezza era solo immaginazione e per questo dovrò riorganizzare il mio comportamento per soddisfare la mia esigenza. Similmente in un qualsiasi rapporto fra due o più individui si costruiscono delle routine quotidiane che si ripetono inesorabilmente ogni giorno. Anche con il cane le sequenze comportamentali di relazione si ripetono al punto tale da ritualizzarsi creando nell’animale delle aspettative sicure. Fornire a un proprietario delle rigide regole di comportamento si traduce nella generazione di riti “nuovi” che potranno funzionare per un periodo anche lungo, ma se non si capisce il senso delle regole, se non si è in grado di analizzare i risultati di tali cambiamenti e se non si hanno gli strumenti per riadattare le regole in funzione dei cambiamenti ottenuti, si torna presto alla condizione problematica. Le regole nuove non sono efficaci soltanto perché rispettano l’aspetto etologico del cane, ma lo sono anche –e a mio avviso soprattutto– per l’effetto “sorpresa” che generano nella mente dell’animale. La sorpresa è considerata da Tomkins l’emozione riorganizzatrice e per questo, una volta evocata, l’individuo deve adattarsi cercando nuovi comportamenti che gli permetteranno di raggiungere i suoi obiettivi. Se l’inserimento delle nuove regole non porta al riordino dei ruoli all’interno della relazione con la stabilizzazione di una nuova forma di omeostasi, l’effetto benefico non sarà duraturo.

Per quanto riguarda invece noi umani dobbiamo considerare che i cani fanno “saltare” molto spesso gli schemi che abbiamo in mente e in quelle occasioni siamo noi quelli che si trovano a dover riorganizzare il comportamento, se abbiamo diverse soluzioni potremmo risolvere il “dilemma” altrimenti vivremo l’evento come un problema. Quando poi gli schemi “saltano” troppo spesso, ci troviamo di fronte a un cane o un proprietario problematico. Aiutare un proprietario a imparare a cambiare i propri schemi in modo dinamico e non statico è frequentemente una soluzione: non sempre i comportamenti sono problematici di per sé, spesso lo sono per come sono vissuti dagli esseri umani di turno. Insegnare ad essere consapevoli dei meccanismi che regolano una relazione, imparare a identificare gli schemi e gestire i comportamenti anziché inibirli, permette il raggiungimento dell’omeostasi in entrambi i soggetti interessati e la risoluzione del problema.

Caso 1

Un esempio molto chiaro è rappresentato dal cane, magari perfetto in casa, che durante la passeggiata si scaglia come un forsennato contro qualsiasi consimile. Proviamo ad analizzare un caso tipo.

Jack, meticcio di tre anni, è il cane di Marco. Fino a otto mesi si è comportato sempre bene, la sua condotta al guinzaglio non era perfetta ma assolutamente gestibile. Un giorno, durante una passeggiata, si avvicina fiducioso e con aria giocosa ad un altro cane anch’esso al guinzaglio. Questo non apprezza l’avvicinamento e reagisce in malo modo. Da quel momento per Jack e il suo proprietario inizia una nuova vita:

  • libero al parco Jack si comportava normalmente e serenamente con tutti i suoi “amichetti”
  • quando era al guinzaglio iniziava ad abbaiare in modo incontrollato alla vista di qualsiasi cane incrociasse il suo tragitto.

Come conseguenza il suo proprietario lo tratteneva sgridandolo, inoltre Marco era talmente -e giustamente- prevenuto che non appena vedeva in lontananza un altro cane si irrigidiva, accorciava immediatamente il guinzaglio e iniziava a minacciare Jack chiedendogli un’obbedienza che il cane non era capace di attuare. Risultato: non appena Jack sentiva Marco irrigidirsi si allarmava, si eccitava e iniziava la  ricerca di un “probabile” cane nei dintorni. E quando finalmente riusciva a identificarlo si scatenava in minacce violentissime che Marco non riusciva a controllare.

In questo caso un’esperienza, neanche tanto strana, ha cambiato il comportamento di Jack da fiducioso a diffidente. È possibile che un banale incontro spiacevole con un consimile possa modificare in modo così radicale il comportamento di un cane?

A mio avviso l’episodio di per sé non è sufficiente. Un cane sa bene che un suo simile può non gradire un tentativo di approccio e non si sconvolge più di tanto quando questo accade. Tuttavia durante l’incontro-scontro tutte le modalità di comunicazione sono state condizionate dai guinzagli, da chi li gestiva e dalle emozioni che il proprietario ha evocato in quel particolare contesto. La sorpresa dell’evento, l’impotenza nel riuscire a gestire la situazione, la rabbia che l’episodio ha suscitato sono tutti fattori che condizionano il comportamento successivo di fronte allo stesso stimolo. Non Jack aveva perduto fiducia, ma nel tempo Marco si era inconsapevolmente “costruito” uno schema comportamentale che ripeteva ad ogni incontro convalidando di fatto il comportamento del suo cane.

In questo caso ho proposto al proprietario di approvare il suo cane nel momento in cui abbaiava agli altri cani. Si può premiare un comportamento sbagliato? Secondo i principi del condizionamento è assolutamente sbagliato, ma secondo una logica più cognitiva, questo comportamento ha sorpreso Jack, il quale si aspettandosi da Marco la solita sgridata (e che aveva imparato a ignorare), ha aperto la sua mente alla nuova informazione che il suo proprietario gli stava inviando. In questo modo siamo riusciti a spiegargli cosa e perché gli stavamo chiedendo. È stato sufficiente trasformare le sgridate in approvazioni, modificare la gestione del guinzaglio, aumentare l’attenzione sul proprietario, cambiare le emozioni di Marco e portare Jack, con una giusta dose di entusiasmo, vicino a cani selezionati per risolvere il problema. Ho avuto cura di modificare la routine della passeggiata e queste novità hanno permesso a Jack (ma anche a Marco) di aprire le loro menti a comportamenti più convenienti. Non è stato un “lavoro” breve ma nel giro di due mesi Marco e Jack passeggiavano serenamente indipendentemente dalle presenze sulla strada.

Caso 2

Molly è il cane di un’educatrice. Elisa ha adottato in canile questa meticcetta che ben presto ha iniziato ad abbaiare a tutte le cose in movimento: persone, cani, biciclette, podisti ecc. Qualsiasi tentativo di frenare questo comportamento ha fallito, ogni “NO!” urlato, anche se nel momento giusto, sembrava rappresentare più un rafforzatore che un inibitore e la soluzione è arrivata quando Elisa anziché tentare di frenare il comportamento “problematico” ha iniziato a invitare il suo cane a metterlo in atto. Questo “cambiamento” è stato per Molly decisamente spiazzante e ha iniziato a guardare Elisa come se fosse un’aliena, nella sua faccia si poteva leggere un grande punto interrogativo e probabilmente ha iniziato a chiedersi il perché la sua proprietaria si comportasse in quel modo per lei bizzarro. Quel dubbio ha inibito il comportamento problematico e quindi è stato facile poterle far capire quanto potesse essere apprezzabile la nuova Molly.  Nel momento in cui il cane ha realizzato che il suo agire non provocava più nessun disagio ha ridotto rapidamente la frequenza e l’intensità del suo comportamento permettendo ad Elisa di guardare Molly da un’altra angolazione fino a riuscire ad apprezzarla molto di più e renderla un cane di altissima affidabilità.

All’atto pratico un educatore potrebbe concretizzare tutti questi concetti accettando la diversità dell’altro (proprietario in primis), uscire dai propri schemi, entrare in quelli dell’altro e attraverso quest’ultimi trovare la soluzione. Un modo di lavorare fondato sulla flessibilità mentale, sulla attitudine di riorganizzare il comportamento, sulla capacità di adattamento che coinvolge tutte le figure presenti: proprietario, cane e educatore. Il proprietario sarà soddisfatto e il cane si adatterà benissimo anche se il tipo di vita che condurrà sarà molto diverso dall’immaginario del professionista.

Agosto 2014