Branco o Famiglia mista? (parte 2)

DSC_7886 copia copiadi Riccardo Totino

Parte 1

La comunicazione 

All’inizio di questa discussione ho scritto che questo è il risultato di vent’anni di lavoro improntato sul rapporto tra le due specie e non sulle performance del cane: competitivo, prestante, robotizzato ecc. Per me il cane deve potersi comportare liberamente e nel rispetto delle regole che la società ci suggerisce. Fraintendendo si potrebbe pensare che io sia contrario alle attività sportive. Assolutamente no! Trovo invece molto bello questo modo di impegnare il cane: ho visto cani e proprietari divertirsi tantissimo durante gli allenamenti e questo è il mio obiettivo. In fondo le attività sportive sono (passatemi il termine) un surrogato di attività comuni della vita del cane. Non le amo quando sono portate oltre il limite, così come non amo le selezioni che trasformano questo animale in una macchina perfetta per mettere in atto attività molto lontane dalla sua natura o in improbabili combinazioni che esaltano alcune caratteristiche morfologiche fino a rasentare la mostruosità. Ma questa è solo una mia personale opinione su ciò che mi piace e quello che non mi piace e non su ciò che è giusto o sbagliato.

I modi per intervenire in una relazione uomo-cane sono tanti e molto diversi tra loro. Io ho scelto l’ambito della relazione fine a se stessa. Il motto si può condensare in questa frase: «Quando la comunicazione è chiara, non ci possono essere incomprensioni» e su questo ho fondato la mia scuola di pensiero.

La Psicologia Sistemico-Relazionale basa la sua filosofia su alcuni punti tra cui:

  • Non si può non comunicare
  • Il problema di un individuo non è intrapsichico ma coinvolge tutti i componenti della famiglia

Queste due affermazioni sono a mio avviso tanto vere quando si parla di rapporti tra componenti della famiglia (genitori, figli), quanto quando si parla di relazione con uno o più cani. Cambia qualcosa, ma non completamente, quando il gruppo è composto da un alto numero di cani e uno ridotto di persone.

Non si può non comunicare

Il linguaggio è comunicazione, il comportamento è comunicazione.  Entrambi possono essere sia verbali, sia non verbali e siccome non si può non attuare un comportamento diventa anche impossibile non comunicare. Rifiutando la relazione si sta inviando il messaggio che non si ha voglia di comunicare. È evidente che questo è un messaggio molto forte che agisce sull’altro in modo diverso a seconda dei ruoli.

  • Un bambino che in una circostanza particolare esprime il rifiuto di comunicare con il genitore produrrà nell’altro uno sgomento lieve che potrebbe anche essere valutato in modo divertente, ma se il rifiuto è costante e il bambino non manifesta mai la volontà di comunicare, siamo di fronte a un problema molto serio. Tra il primo e il secondo esempio c’è una scala intermedia le cui soglie andranno valutate in modo complesso.
  • Un genitore che esprime il rifiuto di comunicare col bambino (lo vedremo meglio quando parleremo di confini) genera invece molto più sgomento. I bambini non hanno le capacità di analisi di un adulto e soprattutto non sono in grado di essere autosufficienti. Il rifiuto alla comunicazione da parte di un genitore viene generalmente vissuto dal bambino come un momento molto complicato e se questo rifiuto è costante il bambino si evolverà senza un supporto importante per il suo sviluppo psichico.

Il cane è una specie diversa da noi, tuttavia è sociale e per tutti gli animali sociali sono la convivenza e la relazione con gli altri a garantire la soddisfazione dei Bisogni Primari. In natura, un animale sociale isolato è un animale morto. Proviamo quindi a pensare come un cane possa vivere dentro di sé l’esperienza di un isolamento sia fisico, sia sociale come ad esempio avviene durante l’applicazione di un programma di Regressione Sociale Guidata. Senza entrare nello specifico, questo programma propone ai proprietari di assumere dei comportamenti di isolamento sociale del cane: tutte le proposte di relazione che originano dal cane devono essere ignorate e prima di offrirgli qualcosa (una semplice attenzione, un contatto, una carezza) il cane deve svolgere un esercizio e prevalentemente viene richiesto il seduto. Come ho già detto un animale sociale teme molto l’isolamento e l’applicazione di questo programma su un cane tende a ridimensionarlo in modo efficace. In casi gravi, con cani molto difficili, è un buon metodo, ma siccome lo considero molto duro a livello psicologico cerco sempre di risolvere il problema attraverso una diversa forma di comunicazione.

Le controindicazioni si possono osservare in quei cani abbastanza forti che attraverso la loro presenza impongono la relazione che i proprietari tentano di eludere. Ne risulterà la nascita di un conflitto i cui esiti varieranno da caso a caso.

Il problema di un individuo non è intrapsichico ma coinvolge tutti i componenti della famiglia

250px-Meiosis_crossoverIl sistema biologico che regola la vita su questo pianeta è fondato sulla diversità. Fatta eccezione per i gemelli omozigoti, sin dalla divisione cellulare che dà origine ai gameti (meiosi) avviene uno scambio di tratti del DNA (crossing over) in modo da rendere impossibile la nascita di un individuo uguale a un altro.

Un gruppo sociale, nei limiti, deve poter accogliere il “diverso” come una risorsa e non come un problema. È vero che il diverso non sempre sarà una risorsa ma bisogna tentare. Michael Fitzgerald, professore del Trinity College di Dublino, sostiene infatti che le caratteristiche collegate ai disturbi dello spettro autistico (SDAs) sono le stesse a cui si deve anche il genio creativo. Dello spettro autistico fanno parte sia l’autismo in senso stretto che la sindrome di Asperger e infatti secondo Fitzgerald, Isaac Newton, Albert Einstein, George Orwell, H G Wells e Ludwig Wittgenstein mostravano i segni della sindrome di asperger, mentre Beethoven, Mozart, Hans Christian Andersen e Immanuel Kant hanno ricevuto questa diagnosi dopo la loro morte.(Clicca qui).

Un “diverso” può apparire agli occhi di un “normale” come un individuo con un problema di adattamento, di comunicazione, di socialità, ma a volte il “problema” origina dall’ambiente. È possibile che un cane con delle “esigenze un po’ speciali” non riesca a farsi comprendere dall’umano di turno, il quale, seguendo delle indicazioni ormai fin troppo stereotipate (tipo il manuale del padrone perfetto), non riesce ad essere sufficientemente elastico da adattarsi alla particolarità del suo animale. In realtà non solo è possibile ma direi altamente frequente.

Zara è il cane della compagna di un mio collega. È stato uno dei cani più difficili che io abbia mai visto. Cana dotata di una personalità fortissima, determinata nei suoi obiettivi, apparentemente… ma solo apparentemente facilmente spaventabile. Non si poteva mai lasciare da sola perché poco dopo la chiusura della porta, lei riduceva in coriandoli l’oggetto più prezioso della persona che era uscita per ultima. Sa aprire porte e cassetti, sa aprire i cassetti chiusi con lo scotch e con gli elastici usati per fissare oggetti sul portabagagli superiore delle auto; con un filmato l’abbiamo vista usare le zampe per girare la chiave di una porta chiusa, spiegandoci così come facesse ad aprirla quando rimaneva da sola. Amava mettere a disagio i suoi proprietari e anche noi educatori, che eravamo convinti che i cani non fossero in grado di pensare a un’azione come a un dispetto. Come ci sbagliavamo! Un educatore con un cane come Zara è un educatore morto! Vi immaginate un cane che non ha nessun problema di relazione con i suoi simili, azzuffarsi solo per il gusto di metterti in difficoltà? Il minimo che ci veniva detto era: «Ah! questo sarebbe il cane di un educatore?» Un cane fantastico, superiore, bastardo dentro… che, per fortuna, non era il mio. Non avrei potuto gestire la frustrazione!

La Psicologia Sistemico-Relazionale studia i meccanismi che regolano i rapporti all’interno di una famiglia. Essendo uno studio moderno si basa sulle famiglie nucleari: il tipo più diffuso nelle società occidentali.

Sarebbe giusto chiedersi perché un educatore cinofilo si perda in studi di psicologia umana. Nella mia esperienza ho visto che è più difficile aiutare una persona che un cane. Gli animali hanno una mente semplice ed essenziale, non appena la situazione intorno a loro migliora si rilassano senza rimpianti o rancori e iniziano a godersi la vita felici e contenti. La “situazione” (intesa come condizioni ambientali) è determinata per lo più da noi umani e in minima parte dal cane. Ho iniziato quindi a chiedermi come sarei potuto riuscire nel mio lavoro imparando a “lavorare” le persone con lo stesso successo che avevo lavorando con i cani.

Spero mi sia perdonata la provocazione. C’è uno strano, quanto antico, gergo cinofilo che si continua a usare, nonostante oggi vengano riconosciute al cane le sue reali capacità emotive, intellettive e cognitive di cui dispone: lavorare un cane. Io posso lavorare l’argilla, il legno o comunque un materiale inorganico. Per un essere senziente preferisco usare: «Lavorare con…»

I meccanismi che regolano i rapporti tra gli umani sono gli stessi che mettiamo in atto anche quando ci relazioniamo con un cane, un gatto ecc. Non importa se gli animali sono diversi o è diverso il loro sistema di comunicazione. Poco cambia in noi se sappiamo dell’esistenza del linguaggio non verbale, noi siamo fatti così e così ci comportiamo. Possiamo invece imparare a riconoscere le conseguenze dei nostri comportamenti e possiamo imparare a scegliere tra le diverse possibilità quella più funzionale al nostro obiettivo. Come genitori dobbiamo indirizzare i nostri figli a scegliere i comportamenti più adatti per essere felicemente inseriti nella società in cui vivono, come proprietari di cani dobbiamo fare la stessa cosa. Ma che differenza c’è tra l’essere genitore o proprietario di cani?

Per certi aspetti le differenze sono enormi, per altri minime o inesistenti. Un figlio cresce, raggiunge una maturità che lo porterà ad essere autonomo e a organizzare una famiglia propria completamente staccata da quella di origine. Al cane abbiamo negato questa possibilità e rimarrà con la sua famiglia d’accoglienza per tutta la vita. Vabbè, è vero… qui in Italia questa possibilità viene negata anche a molti figli e anche loro vivranno con la mamma per tutta la vita, così come non tutti i cani rimangono per tutta la loro vita con i proprietari di origine. Ma i bisogni espressi da un cane sono, nella loro essenza, molto simili a quelli di un bambino, come ad esempio la richiesta di accudimento e questa richiesta fa scattare in noi il bisogno di prendercene cura. Non è solo culturale, è anche innato. Le persone sono diverse e nella relazione natura-cultura vivono in modo diverso il coinvolgimento emotivo alla base del rapporto con il cane. Per alcune persone il cane “è solo un cane”, per altre invece questo animale può rappresentare la ragione della loro vita o l’unico essere che può meritare il loro affetto incondizionato. In mezzo, tra i due estremi, c’è un mondo fatto di invisibili e complicate richieste e offerte tutte relative alla soggettività della persona. Dall’altra parte invece c’è il cane che vuole vivere una vita adatta alla sua personalità. Ci sono cani “ignoranti” che risolvono tutto con la forza e la dominanza, ci sono cani riflessivi, intelligenti, affettuosi, performativi, attenti, distratti, paurosi, sottomessi ecc. Quando se ne adotta uno non si sa chi o cosa stia entrando in famiglia, ma comunque si deve trovare un compromesso per adattare i bisogni della persona a quelli del cane e viceversa.

Di bisogni ne abbiamo già parlato, ora prendiamoci un po’ di spazio per affrontare il tema della relazione.

  • La Relazione è formata da quell’insieme di meccanismi che consentono a due o più individui di comunicare e collaborare fra loro.
  • La “qualità” di una relazione è indicata dal livello di benessere che questa genera negli individui coinvolti.
  • La qualità e la tipologia di ogni singola relazione sarà differente a seconda del ruolo che ogni individuo ha all’interno della famiglia (modelli transazionali).

Un esempio di modello transazionale si può riassumere nel modo seguente:

Una madre dice al figlio di mangiare la pasta e lui obbedisce, questa interazione definisce chi è lei rispetto a lui e viceversa, in quello specifico momento e contesto. Se il figlio avesse risposto insultandola e rifiutandosi di mangiare avremmo avuto una definizione diversa dei ruoli. Similmente: una persona dice al suo cane di andare a cuccia e questo va a sdraiarsi sulla sua brandina, oppure inizia a saltare addosso festoso o ancora risponde ringhiando.

Quando un tipo di scambio comportamentale si ripete nel tempo costituisce un modello transazionale.

A questo punto entra in gioco l’analisi dei “confini” che regolano una relazione. In un rapporto, i confini rappresentano quella linea di demarcazione che separa un individuo da un altro, attribuendo ad ogni personaggio il ruolo che occupa nella relazione. Sono gestiti in modo più o meno consapevole ma principalmente sono regolati dagli individui che occupano il ruolo gerarchicamente più importante e cioè quelle persone che dispongono delle risorse. In quest’ottica i confini si suddividono nel seguente modo:

  • Rigidi (disimpegno)
  • Diffusi (invischiamento)
  • Chiari (permeabilità e flessibilità)

Confini Rigidi (Le regole non si cambiano)

sgridare

I confini rigidi sono quelli rintracciabili nelle famiglie disimpegnate, nelle quali mancano completamente il senso di appartenenza e di interdipendenza, non c’è capacità di dare sostegno o fornire aiuto agli altri. Lo scambio di informazioni è minimo. In sostanza ci sono delle regole fisse che non tengono conto delle esigenze del singolo, non importa se il bambino ha delle difficoltà con quelle regole o se non sono adatte a lui: è il bambino che deve adattarsi.

In genere il cane che appartiene a una famiglia di questo tipo affronta la vita con grandi difficoltà, se è in grado di gestire se stesso può anche vivere in modo accettabile ma sicuramente non avrà modo di imparare dagli umani, dovrà tendenzialmente sopportare il loro modo di essere e adattarsi con grande impegno. Quelli che non riescono, non saranno aiutati e si riveleranno dei cani problematici.

Confini Diffusi (Non ci sono regole: questa è la regola)

invischiati

In genere in queste famiglie le gerarchie generazionali sono evanescenti, i confini sono diffusi, vi è confusione nei ruoli e nelle funzioni. Inoltre in ogni componente della famiglia si nota una tendenza all’intrusività nei confronti dei pensieri, dei sentimenti, delle azioni e delle comunicazioni altrui. Si tratta di famiglie che manifestano una spiccata resistenza ad ogni cambiamento e, paradossalmente, sono governate da regole alquanto rigide. Lo scambio di informazioni è caotico.  Tipicamente non tollerano i conflitti espliciti al loro interno, ma tendono piuttosto a presentarsi in conformità con gli standard di accettabilità sociale come famiglie estremamente unite, armoniose, le quali sarebbero assolutamente prive di problemi se non fosse per il comportamento del paziente “designato”.

Ai cani che vivono in queste famiglie è permesso di fare come vogliono, non hanno confini e possono utilizzare indistintamente ogni spazio della casa. Sarebbe fantastico, ma non appena uno di loro tenderà ad uscire dalle regole, sarà immediatamente rifiutato. In genere il risultato finale è più o meno il seguente: al cane sarà comunque tutto permesso, non appena si comporterà “male” sarà sgridato pesantemente, ma non gli verrà mai insegnato nulla. In sostanza o capisce da solo o sarà un cane problematico.

Confini Distinti (Le regole si modificano e si sviluppano in funzione delle circostanze)

Rappresentano i passaggi di informazioni più funzionali.

Le informazioni sono adeguate per quantità e pertinenza rispetto alla relazione e ai cambiamenti che le fasi del ciclo vitale comportano. Lo scambio di informazioni è regolato in base ai ruoli e alle circostanze.

I cani che vivono in queste famiglie hanno informazioni chiare, coerenti e costanti. Gli insegnamenti vengono dati in modo funzionale alla loro capacità di apprendimento rispetto all’individuo e alle sue conoscenze pregresse (non viene chiesto né troppo, né troppo poco), si costruiscono delle abitudini e delle routine a cui il cane può fare riferimento con serenità, quando una situazione contingente lo richiede si fanno delle eccezioni che rafforzeranno il rispetto delle regole.

 

Prendiamo ad esempio un cane che durante la passeggiata abbaia minacciosamente quando incontra un suo simile.

Situazione con confini rigidi (relazione disimpegnata)

L’obiettivo è che il cane obbedisca. Il proprietario non accetta questo comportamento e quindi non appena il suo cane abbaia lo sgrida, lo picchia o lo strattona con il guinzaglio. Quando il cane smetterà di abbaiare lui continuerà a sgridarlo perché si è comportato male. La volta successiva il padrone aumenterà l’intensità della punizione fino al raggiungimento di una conclusione che sarà soddisfacente o inversa a quella desiderata.

Confini diffusi (relazione invischiata)

Anche in questo caso il proprietario si arrabbierà moltissimo con il suo cane, ma molto probabilmente non riuscirà a mettere in atto una punizione significativa ottenendo l’indifferenza del cane alla correzione. La conseguenza sarà un evidente aumento della frustrazione per l’incapacità di non riuscire a far capire al cane il fastidio che lui subisce da quel comportamento. Continuerà a sgridarlo -comunque nello stesso modo- ogni volta che si presenterà il problema, costruendo un modello comportamentale abituale (routine) ottenendo l’unico risultato possibile: l’indifferenza del cane alla correzione. In sostanza, secondo questo tipo di proprietario, è il cane che dovrebbe capire da solo  quello che lui non gli ha mai spiegato.

Confini distinti (relazione chiara)

Il proprietario prende atto del problema, lo affronta in modo razionale e non si lascerà coinvolgere emotivamente. Il suo primo obiettivo è cercare di comprendere il tipo di disagio che scatena nel cane la reazione aggressiva e dove possibile cercare di ricordare quando e perché ha avuto inizio. In una relazione chiara la fiducia reciproca regna sovrana e, non solo non sarà difficile spostare l’attenzione del cane dal problema (l’altro cane) al conduttore, ma sarà anche facile suggerirgli un comportamento alternativo.

Le figure genitoriali o figure guida, non sono sempre coerenti tra loro e, soprattutto tra i cani problematici, non è insolito rilevarne uno disimpegnato e l’altro invischiato.

Con gli strumenti giusti, attraverso l’indagine e l’osservazione, possiamo capire che tipo di relazione si sia instaurata tra l’umano e il cane, possiamo individuare la tipologia dei confini e di conseguenza comprendere i bisogni e le richieste espresse dal binomio. Quando bisogni e richieste non trovano riscontro nell’ambiente si instaura il problema. Spesso si riesce a risolvere problemi di natura diversa come l’aggressività o l’ansia da separazione soltanto riuscendo a spiegare a un proprietario come comunicare (come inviare e ricevere l’informazione) con il suo cane.