Foto di Damian Barczak da Pexels Ci sono delle pagine di Facebook in cui si pubblicano degli articoli che mi lasciano perplesso, leggo, trattengo il mio disagio, magari ne parlo con qualche amico ma il più delle volte lascio correre e cerco di dimenticare. Commentare o rispondere sono azioni che cadono troppo spesso nella polemica e non mancano occasioni in cui si finisce…
Mi Chiamo No!
Ma davvero non si può o non si deve dire: «No!» al nostro cane!?
Realmente cambia qualcosa se lo sostituiamo con: «Ah, ah!» oppure: «Eh,eh!»?
E se invece provassimo a pensare che l’uso continuato e improprio dei segnali di errori, indipendentemente da quale si scelga di utilizzare, provochi nel cane frustrazione e conseguente indifferenza al segnale stesso?
Chi mi consoce sa bene della mia convinzione che non esista un metodo universale, funzionale nell’educazione del cane e sa anche quanto io sia consapevole che, quanto affermo, sia solo una delle tante voci che orbitano nel contrastante e agguerrito mondo della cinofilia. Ho sempre cercato di agire con Buon Senso mettendo in discussione tutte le “verità/esagerazioni/assolutismi” che negli anni hanno tentato di affermarsi in questo settore.
LA PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA:
consapevolezza psicofisiologica e legame di attaccamento
di Tiziana Franceschini
Introduzione
Nel 2007, quando Riccardo Totino mi ha proposto di insegnare psicologia generale agli educatori cinofili, ho accolto l’idea come una sfida aperta. Come era possibile trasporre le mie conoscenze in un ambito così diverso, un contesto di lavoro a me sconosciuto? Le uniche certezze che avevo erano due: il fatto che se la teoria dell’attaccamento era nata in ambito etologico forse mi poteva essere di aiuto e la certezza di aver condiviso diversi anni della mia vita con un cane. Spinta dalla voglia di accettare questa sfida professionale, resisto alla tentazione di stilare subito un programma delle lezioni e chiedo a Riccardo di passare un po’ di tempo con lui per vederlo lavorare. Osservo come riceve e ascolta le persone, come si relaziona a loro e ai loro cani e dopo ogni incontro rimaniamo a parlare.
LA PSICOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA:
consapevolezza psicofisiologica e legame di attaccamento
di Tiziana Franceschini
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Parte III
La consapevolezza psicofisiologica per l’osservazione dei modelli di attaccamento
Se è vero che lo studio dell’attaccamento è fondamentale per chi svolge una professione di aiuto, non si deve correre nell’errore di pensare agli educatori cinofili come a un esercito di psicologi allo sbaraglio. Quello che credo sia utile è fare un passo indietro e riferire il discorso non tanto alla relazione di aiuto, quanto all’osservazione di noi stessi. Spesso consiglio ai nostri allievi di mettere alla prova l’utilità della teoria dell’attaccamento pensando al rapporto con il proprio cane (la stragrande maggioranza degli aspiranti educatori ne ha almeno uno).
LA PSICOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA:
consapevolezza psicofisiologica e legame di attaccamento
di Tiziana Franceschini
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Parte II
Dal problema alla relazione di attaccamento
Avendo come riferimento la teoria dell’attaccamento, la nostra attenzione nel lavorare come educatori si sposta dal comportamento problematico alla relazione. Fermo restando che questa chiave di lettura può non essere adottabile in tutti i casi, è comune osservare la perplessità dei clienti quando il discorso passa dal problema segnalato al loro comportamento e, passo ancora più delicato, alle loro emozioni. In psicologia questo slittamento di prospettiva viene chiamato ridefinizione della domanda di aiuto e rappresenta un punto di svolta in cui è molto facile mettere a repentaglio la relazione con il cliente.
LA PSICOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA:
consapevolezza psicofisiologica e legame di attaccamento
di Tiziana Franceschini
Parte I
Introduzione
Nel 2007, quando Riccardo Totino mi ha proposto di insegnare psicologia generale agli educatori cinofili, ho accolto l’idea come una sfida aperta. Come era possibile trasporre le mie conoscenze in un ambito così diverso, un contesto di lavoro a me sconosciuto? Le uniche certezze che avevo erano due: