LA PSICOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA Parte 2

LA PSICOLOGIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA INCONTRA LA CINOFILIA:

consapevolezza psicofisiologica e legame di attaccamento

Elena Shumilova 2
by Elena Shumilova

 

di Tiziana Franceschini

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Parte II

Dal problema alla relazione di attaccamento

Avendo come riferimento la teoria dell’attaccamento, la nostra attenzione nel lavorare come educatori si sposta dal comportamento problematico alla relazione. Fermo restando che questa chiave di lettura può non essere adottabile in tutti i casi, è comune osservare la perplessità dei clienti quando il discorso passa dal problema segnalato al loro comportamento e, passo ancora più delicato, alle loro emozioni. In psicologia questo slittamento di prospettiva viene chiamato ridefinizione della domanda di aiuto e rappresenta un punto di svolta in cui è molto facile mettere a repentaglio la relazione con il cliente.

E’ comune sentirsi rispondere: “Sì, però mio figlio ha un comportamento intollerrabile” o – come potrebbe raccontarci Totino –  “Ma il cane abbaia a chiunque”. La delicatezza di questo passaggio consiste nel non far sentire giudicate le persone che ci richiedono aiuto. Se attribuiamo la problematicità all’esterno (il bambino, il partner, il cane o la società), ci sentiamo a posto e quello che facciamo è chiedere all’altro di cambiare per allinearsi alle nostre aspettative, accumulando frustazione e rabbia di fronte al fatto che l’altro non cambia solo perché glielo chiediamo. Spesso, il passo successivo è quello di chiedere a un esperto di fare quello che noi non siamo riusciti a fare: “correggere” l’altro.

Se invece ampliamo il nostro sguardo alla relazione e al sistema che insieme all’altro costituiamo, facciamo sì i conti con le nostre “responsabilità”, ma allo stesso tempo realizziamo che possiamo fare qualcosa per stare meglio. Acquistiamo la consapevolezza che, se la relazione è un sistema di cui facciamo parte, possiamo sbloccare la situazione modificando il nostro comportamento e, ancor prima, le rappresentazioni sottostanti. La problematicità attribuita all’altro è frutto dello scarto tra come l’altro è e come io vorrei che l’altro fosse, in base a una serie di aspettative che sono coerenti con i nostri modelli interni di una relazione affettiva.

Portare consapevolezza ai modelli di attaccamento ci fa cambiare prospettiva, ci chiama in causa direttamente e ci apre alla relazione con l’altro. La domanda di aiuto viene ridefinta da “aiutami a cambiare l’altro” a “aiutaci a rendere la nostra relazione più soddisfacente”.

comics-bizarro-dog-psychologist-592028Attaccamento e relazione di aiuto

Lo specialista a cui ci rivolgiamo, che sia uno psicoterapeuta dell’età evolutiva o un educatore cinofilo, non sta facendo il proprio lavoro se si limita a dire al proprio cliente cosa è bene fare, quali regole seguire, magari seguendo un manuale prestampato con le dieci mosse che portano alla felicità. Accettare una delega di questo tipo conferma al nostro cliente il suo senso di inefficacia, veicolandogli un messaggio non verbale più profondo: “quando si ha un problema, è bene fare ciò che ci dice chi ne sa più di noi”. Questo messaggio leggittima una politica educativa tale per cui chi è in una condizione di dipendenza (il cliente, il bambino, il cane) non impara a esercitare il proprio potere decisionale e la capacità di autoregolarsi, ma resta incompetente e diventa sempre più dipendente dall’esperto, dal genitore, dal “padrone”, dalla società e così via. Il legame di attaccamento si sbilancia verso il polo della dipendenza, motivo per cui è probabile che l’autonomia venga ricercata ed espressa in modo confuso e poco costruttivo.

Aiutare veramente un cliente vuol dire fornirgli gli strumenti per interrogarsi, riflettere e scegliere di volta in volta come comportarsi, in modo che egli stesso impari a fare lo stesso in qualità di educatore, ruolo che accomuna i genitori verso i figli e gli umani verso i loro amici a quattro zampe. Si crea uno spazio di fiducia in cui l’altro può esercitare le proprie competenze e imparare a autoregolarsi.

In altre parole, indipedentemente dal motivo per cui un cliente viene da noi, il modo in cui ci poniamo verso la sua domanda di aiuto è di per sé un’occasione per veicolare e proporre un modello di attaccamento sicuro, in cui la dipendenza dell’altro (ho bisogno di aiuto) è in equilibrio con l’autonomia che gli permettiamo di esercitare (ce la puoi fare).

Dicevamo prima che un attaccamento sicuro è per sua natura aggiornabile, perché la persona si colloca in ascolto di se stesso e dell’altro. La relazione cresce in questo spazio di ascolto reciproco che rende possibile l’adattamento, perchè il comportamento di ognuno non è rigido e preordinato, ma è modulabile in base ai segnali che arrivano dall’ambiente interno (pensieri, sensazioni, emozioni, bisogni) e dall’ambiente esterno (le risposte che ci invia l’altro). La mente è aperta, il pensiero è flessibile, le emozioni sono elaborabili e la comunicazione risulta fluida.

Al contrario, se nella relazione con un cliente attiviamo un attaccamento insicuro, il nostro comportamento sarà inconsapevolmente guidato dalla necessità di non mettere in discussione quelle difese che ci hanno permesso di sopravvivere, difese che sono collegate a una visione rigida e non negoziabile della relazione con l’altro. Quello che facciamo sarà lavorare secondo questa visione, che, come abbiamo detto, presenterà uno sbilanciamento verso il polo dell’autonomia o della dipendenza. In altre parole, un attaccamento insicuro agisce come una lente che deforma la realtà e ci impedisce di entrare in una relazione di ascolto: più che sentire di cosa hanno bisogno gli altri, tenderemo a imporre ai clienti la nostra visione di una relazione ideale e tutto ciò in completa buona fede, perché i modelli operativi interni sono per lo più inconsapevoli.

In questi termini l’osservazione dei modelli di attaccamento è a mio parere un passo obbligato per chiunque voglia svolgere una professione di aiuto.

Se è vero che i modelli di attaccamento regolano il nostro comportamento nella relazione di  aiuto, in che modo possiamo osservarli?

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Per saperne di più

Jeremy Holmes, La teoria dell’attaccamento, Ed. It. Raffaello Cortina, 1994.

Daniel N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, Ed. It. Bollati Boringhieri, 1987.

A cura di Tiziana Franceschini

Psicologa dell’età evolutiva, psicoterapeuta clinica, danzatrice, regista, insegnante di teatrodanza e ginnastica posturale. Da anni porta avanti un lavoro di ricerca volto a integrare la psicoterapia all’approccio corporeo, secondo una metodologia chiamata Il corpo in relazione. Nei laboratori di consapevolezza psicofisiologica la mente e il corpo sono uno lo specchio dell’altra: l’attenzione data al corporeo e alla relazione con l’altro permette di osservare i propri schemi motori, cognitivi, affettivi e comunicativi. Uno degli sviluppi più interessanti del metodo prevede lo studio e la complessificazione dei modelli di attaccamento a livello corporeo.

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